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Grazie a questo esercizio ti consente di stimolare la fantasia e non solo. T’insegna a partire da una traccia e scrivere una storia che, per quanto tua, debba rientrare all’interno della traccia iniziale.
Grazie a questo esercizio ti consente di stimolare la fantasia e non solo. T’insegna a partire da una traccia e scrivere una storia che, per quanto tua, debba rientrare all’interno della traccia iniziale.
ESERCIZIO LUNEDÌ 10 NOVEMBRE:
[Si voltò di scatto e capii ogni cosa. A volte, nella vita, niente è come sembra. E Anna, da quel giorno, dovette fare i conti con una nuova e tutt’altro che semplice realtà.]
Una realtà difficile ma che era costretta ad accettare. Dal suo volto traspariva un misto di rabbia, tristezza e confusione. Aveva bisogno di qualche minuto per incassare il colpo e riprendersi dal boccone amaro che aveva appena dovuto ingoiare. D’altronde, chi riuscirebbe a rimanere lucido in un momento del genere? Neanche io ci riuscirei. Avrei reagito esattamente allo stesso modo se avessi saputo, dopo tanti anni, di essere figlia adottiva.
Coloro che Anna aveva sempre creduto fossero i suoi veri genitori, le avevano celato la verità sin dalla nascita. E cosa peggiore, aveva saputo tutto quanto proprio da me, una perfetta estranea che non condivideva neanche il più piccolo grado di parentela con lei.
Anna non voleva credere a tutte quelle chiacchere, lo amava, non voleva perderlo – Quel pomeriggio , però si voltò di scatto, e vide una realtà che non avrebbe mai voluto ingoiare , Alfredo Con Imma, la sua migliore amica, li vide, ridere scherzare parevano conoscersi da tempo. Trattenne le lacrime, lasciò un messaggio a Elisa, sua sorella minore . Ci vediamo alle cinque per un caffe ‘ Anna con Elisa, si sentiva bene – Lo so da mesi Anna non è l’unico uomo sulla terra- Anna si sentì crollare e pianse Il mare è pieno di pesci e ,me lo hai detto tu che lui era cambiato . Ora fatti una tua vita . dimenticalo Anna dopo il caffè tornò a casa si coricò sul letto . Ora era davvero stufa era arrivato il momento aveva voglia di vivere, la sua nuova vita non una vita piena di menzogne -. Esercizio del lunedì in ritardo
[Si voltò di scatto e capii ogni cosa. A volte, nella vita, niente è come sembra. E Anna, da quel giorno, dovette fare i conti con una nuova e tutt’altro che semplice realtà.]Fino all’ultimo istante avevo negato a me stessa l’evidenza non era il mio posto ma ci avevo creduto fino all’epilogo: mi hai messa prepotentemente di fronte alla realtà più semplice; sono fatta per contesti migliori,e qua peggio di così non si può.Mi hai telefonato, mi hai mandato una convocazione, infine hai ritrattato tutto durante il colloquio a disquisire sul fatto che non capisco nulla di contabilità.Cara Anna vorrei dirti quel che penso ma sono sempre spiazzata dalle cattiverie gratuite. Il Dalai Lama ci indica la compassione,mi hai giocato uno scherzo ed io so stare al gioco ma ricorda la vita è una ruota che gira.Forse avevi paura che offuscassi la tua autorità per questo hai preferito farmi perdere tempo.Pensavo che il sistema gerarchico piramidale fosse antiquato mi hai dimostrato che sbagliavo oggi ho imparato la tua realtà ,mi dispiace per quanto sei triste.La tua complicata gestione forse difetta nell’approccio con il personale se continui così sarà sempre peggio ma non sono fatti miei.
Si voltò di scatto e capì ogni cosa. A volte nella vita, niente è come sembra e lei quel giorno dovette fare i conti con una nuova e tutt’altro che semplice realtà. Una realtà che per nulla al mondo avrebbe voluto vivere.
Era una bella mattina di sole e nell’aria si sentiva la febbrile eccitazione che l’avvicinarsi delle vacanze estive portava con sé.
Quella mattina Anna si era alzata presto piena d’energie; per la prima volta sarebbe andata a casa di una sua nuova compagna di classe per un pic-nic con tutti i suoi amici.
Sua madre era già sveglia da un pezzo e si agitava freneticamente nel controllare e ricontrollare l’interminabile lista di cose da dare alla bambina per quella giornata.
Anna sapeva che sarebbe stata una giornata speciale, non vedeva l’ora d’essere finalmente a casa della sua amica liberata dalle infinite prediche della madre che continuava a ripeterle mille raccomandazioni.
Il viaggio in macchina sembrava interminabile; i suoi, al solito, litigavano per la strada da prendere mentre il fastidioso rumore di sottofondo dell’auto la faceva stare male.
I suoi tentativi di isolarsi da tutto quel frastuono caotico nel suo mondo fantastico erano inutili; se solo avesse avuto un walkman avrebbe potuto non sentire nulla e riuscire ad annullarsi nella musica, ma sapeva bene che non avrebbe mai potuto possederne uno.
Suo padre era contrarissimo all’acquisto ed all’uso del Walkman sostenendo che: “Quelle trappole ti fanno diventare sordo!”
Inutile cercare di ribattere, o protestare: le sue ragioni non sarebbero comunque state ascoltate. Quindi era meglio tacere e tenere per se la sua personalissima riflessione sul fatto che alle volte non sentire è un vantaggio: si evita di stare male e che la gente è comunque spesso sorda e cieca, pur sentendo e vedendo benissimo.
Complesse riflessioni, senza capo né coda, cominciarono a pervaderle la mente, isolandola per un po’ da quanto le accadeva intorno e distraendola da tutto. Non era certo la prima volta che simili ragionamenti la coglievano e aveva smesso di domandarsene la ragione, convincendosi che fossero sciocchezze di una bambina d’otto anni, utili ad evitare un’ora di lezione se si riusciva a coinvolgervi la maestra. Tuttavia quel suo rimuginare sulle cose alle volte lo sentiva come un peso che la schiacciava impedendole di volare spensierata godendosi la tanto decantata infanzia senza problemi che i suoi genitori tanto le rinfacciavano.
All’improvviso le riflessioni di Anna furono bruscamente interrotte: erano arrivati.
Un immenso cancello di ferro battuto bianco era la porta d’ingresso al vasto giardino che circondava la villa dove viveva la sua amica.
Senza pensarci su due volte Anna scese rapida dalla macchina e, salutati in fretta i suoi, si unì al gruppo dei suoi compagni che sembravano stare aspettando solo lei.
La sua amica era con gli altri accompagnata da una tata giovane e simpatica che li condusse attraverso il parco.
I grandi viali di ghiaia bianca erano alternati da piccoli sentieri in mezzo al verde, le aiuole erano curate e piene di fiori e piante rigogliose. C’era persino un boschetto dove scoiattoli ed uccellini giocavano a rincorrersi tra i rami, mentre l’aria frizzante di mille profumi delicati rendeva completo quello scenario d’incanto.
Anna era estasiata e, per quanto non sembrasse interessata ad altro che a rincorrersi con gli altri bambini, non le sfuggiva nulla di quelle meraviglie che la circondavano.
Quella natura così stupenda, sebbene avesse riempito il cuore di Anna di gioia e stupore, l’aveva anche turbata, come se ci fosse qualcosa d’inafferrabile che le dava un senso di timore.
Era una sensazione strana, simile a quella che provava quando si perdeva nei suoi pazzi pensieri, indefinibile, inquietante, eppure intangibile e per questo, forse, ancora più terribile.
Non era quello il momento di lasciarsi trascinare da quelle strane emozioni, i suoi amici la reclamavano e lei di certo non si sarebbe fatta pregare. Scrollato il capo e ignorate le sue sensazioni si concentrò sul gioco ed i suoi amici ricacciando quelle strane sensazioni in fondo alla sua anima.
Vispa e vivace come pochi, più un maschiaccio che una dolce bambina, si mescolò agli altri, nel frenetico turbinio di corse, giochi e risate.
Dopo un tempo indefinibile, il chiassoso gruppetto di ragazzini era finalmente giunto alla villa. L’edificio era imponente costruito in pietra bianca e marmi. Mille fiori ornavano le finestre ed i balconi. L’atrio spazioso e chiaro dava una sensazione di leggerezza ed agio a chi vi entrava.
Dopo averli condotti al terzo piano, la tata fece loro appoggiare gli zaini e prendere solo il necessario per andare al lago.
Tutto si svolse rapidamente, in pochi istanti si era di nuovo fuori all’aperto e l’allegra comitiva si diresse verso il lago. Quando ormai erano prossimi al laghetto Anna si rese conto di aver dimenticato il suo asciugamano nella casa. Decisa a recuperarlo ed ormai convinta di sapere la strada sgattaiolò via senza farsi notare da nessuno.
Nel ripercorrere il sentiero però percepì un vento gelido che le fece accapponare la pelle mentre il sole, nascosto da una nuvola passeggera, privava il paesaggio di luce e calore.
Una strana sensazione di timore la colse e la spinse a mettersi a correre.
Senza fiato giunse alla gran villa fermandosi davanti all’imponente portone per riprendere fiato. Il sole era tornato a splendere nel cielo eppure il disagio cresceva e l’aria sembrava non voler riempire i suoi polmoni facendola sentire a corto di ossigeno come se una mano invisibile le ostruisse le vie respiratorie strangolandola con una pressione crescente. Sentendosi soffocare Anna alzò gli occhi verso il cielo per riprendere il controllo del respiro facendo un ampio movimento con le braccia che aiutasse la cassa toracica ad espandersi per ricevere l’ossigeno, così facendo la sua attenzione cadde su un particolare che aumentò il suo disagio: gli ornamentali vasi di fiori che tanto l’avevano affascinata, erano scomparsi.
Turbata, ma decisa a recuperare le sue cose, Anna si accostò al portone che trovò socchiuso; timidamente bussò e domandò se poteva entrare senza ricevere risposta. Aveva fretta di ritornare al lago dai suoi amici così pur spaventata decise d’entrare.
Il sontuoso atrio che prima l’aveva ospitata era cambiato, non irradiava più la stessa sensazione di agio e calore, ma era divenuto freddo e sinistro; Anna scosse la testa rimproverandosi: doveva smetterla di immaginarsi le cose, si stava auto-suggestionando con la sua fin troppo fervida immaginazione.
Imboccò le scale e, facendo a due a due i gradini, si affrettò a salire.
Giunta al primo piano incrociò uno strano individuo, non ebbe il tempo di dire nemmeno una parola che questo l’afferrò con forza per le esili braccia e sollevatala da terra portò il viso di lei vicino al suo. L’uomo era vecchio e grinzoso, aveva un occhio completamente nascosto da una balza di pelle cadente, la bocca, bavosa e storta, era priva di molti denti. Anna, avrebbe voluto urlare per chiedere aiuto, ma non riusciva ad emettere alcun suono, cercò quindi di liberarsi dimenandosi, ma la presa dell’uomo era salda e forte.
L’uomo che la teneva prigioniera cominciò a scuoterla gridando: “Sai chi sono io? Sai chi sono?”
Tra i singhiozzi Anna riuscì solo a scuotere il capo in senso di diniego l’uomo livido di rabbia la scaraventò contro le scale che conducevano al piano superiore urlando “chi sono io?!”
L’urto contro gli scalini lasciò Anna senza respiro per alcuni secondi, inutilmente cercò di rialzarsi e di scappare, infatti, a causa del forte dolore che provava, riuscì solo a trascinarsi su per le scale strisciando.
Il cuore le batteva fortissimo, nella mente quell’immagine orrenda la perseguitava e nelle orecchie quel grido disperato le faceva ancora accapponare la pelle.
Giunta al secondo piano riuscì a levarsi in piedi: barcollante e terrorizzata che quell’essere potesse salire indietreggiò sul pianerottolo fino ad urtare qual cosa alle sue spalle.
Anna si voltò di scatto lanciando un grido d’orrore: una figura, che un tempo, doveva essere stata umana era rinchiusa in una gabbia metallica. L’uomo aveva gli incavi degli occhi vuoti, mentre il resto del corpo era come gli fosse stata tolta via la pelle lasciando in evidenza i muscoli rachitici e le interiora, un corpo che sembrava stare divorando se stesso.
Era una vista orribile, Anna corse su per le scale in preda ai singhiozzi, mentre tra se pensava “cosa diavolo è successo qui? Voglio andarmene!”.
Giunta al terzo piano lo trovò deserto, Anna si mise quindi ad esplorarlo in cerca di una possibile scala di servizio che potesse evitarle l’incontro con il mostruoso pazzo che l’aveva aggredita, ma non la trovò. Si ritrovò invece davanti alla stanza dove avevano lasciato gli zaini, Anna decise di riprenderselo. Allungò la mano per aprire la porta, ma la ritrasse di scatto poco prima d’afferrare il pomello della porta: al suo interno vi era della carne maciullata grondante di sangue. Anna fece un balzo indietro e la porta si aprì da sola; il suo zainetto era proprio davanti a lei infondo alla stanza.
Voleva fuggire da lì, ma una forza sconosciuta la spingeva a proseguire e recuperare le sue cose: fece uno scatto fino a raggiungere ed afferrare lo zaino, voltatasi per uscire, si accorse di quattro esseri deformi stavano seduti per terra lungo le pareti laterali. Questi, scorta Anna cominciarono a strisciare verso di lei chiamandola con rantoli e gemiti invitandola a restare con loro: si sarebbe trovata bene li…
Anna terrorizzata uscì di corsa e, senza neanche pensare, imboccò la scala principale giunta al primo piano trovò nuovamente l’essere che l’aveva scaraventata a terra. Invano cercò d’evitarlo e fu nuovamente in balia di quel mostro. Si perché quelli erano mostri, cos’altro potevano essere urlava la ragione rifiutando ciò che invece stava insinuando il suo cuore. Ormai convintasi di quella verità consolatrice al ripetersi di quella domanda intrisa di dolore ed angoscia urlo in risposta: “sei un mostro!” L’essere allora fu come assalito da un impeto di folle gioia. Scaraventatala giù per le scale si mise a gridare di gioia: “Sono un mostro, si io sono un mostro, sono qualcuno…Sono qualcosa!”
Anna si rialzò dolorante dall’ennesima caduta, ma il dolore non le importava era ormai quasi fuori da lì e la porta ad un passo da lei. Solo un pensiero ossessivo nella mente: voleva tornare a casa, voleva chiamare i suoi. Il tempo di formulare quel pensiero ed ecco che scorse un telefono poco più in la e vi si precipitò, ma servivano le monetine e lei non né aveva.
Un uomo dal camice bianco le passò vicino: sembrava normale forse lui poteva aiutarla e gli chiese una moneta per chiamare a casa. Questi senza nemmeno fermarsi le disse: “Niente monetine, i pazienti le affilano e si tagliano le vene…no niente monetine qui” Anna indietreggiò sempre più spaventata dallo sguardo vuoto e freddo dell’uomo comprendendo che non avrebbe avuto alcun aiuto da lui e riprese a correre dirigendosi a gran velocità fuori da quel manicomio.
Sarebbe tornata a casa da sola, bastava correre fino al cancello scavalcarlo e correre, correre fino a casa. Appena fuori dell’edificio si arrestò un istante: doveva avvertire gli altri che erano al lago, ma grida sommesse e rantoli provenivano da quella direzione. Una consapevolezza dolorosa la trafisse come una lama arroventata. Per i suoi amici era troppo tardi, li avevano presi.
Anna non si voltò più in dietro, né arrestò la sua corsa in mezzo ai viali circondati da alberi di cipresso e i prati ingrigiti, dove uomini e donne strisciavano e rantolavano logorati da mali invisibili cercando di trattenerla.
Durante la corsa non aveva fatto che piangere, dentro di lei una verità lacerante andava emergendo: non erano mostri, erano uomini che si distruggevano perdendo loro stessi.
Giunta al cancello, prima bianco, strinse nelle mani le sbarre e lo scosse violentemente urlando…
Anna aveva ancora i pugni serrati e il volto rigato dalle lacrime quando si destò nel cuore della notte.
Aveva otto anni allora, e quel sogno indelebile venne sepolto e nascosto tra i suoi pensieri più folli, fino a quando quel sogno non si tramutò nella realtà.
Anna si ritrovò davanti al suo incubo divenuto realtà mentre la macchina svoltava e dietro di se lasciava i quieti quartieri residenziali fatti di casette accostate dai giardini curati e le vecchiette che sedevano a chiacchierare nei portici della graziose casette per addentrarsi in un ghetto bianco di Ispano-americani. Non più graziose villette ma palazzi bruciati e diroccati che davano la sensazione di starsi aggirando in una città bombardata. Su un muro di mattoni rossi L’unica nota di colore: un murales alto quasi quanto il palazzo dai colori sgargianti che terminava decorando la macchina sotto di esso parcheggiata: una lapide, un monumento a uno di loro morto quel giorno, o forse il giorno prima. La polizia qui non entrava, l’unica legge che vigeva lì era quella del più forte.
Anna vide i palazzi e gli spettri dei ghetti, ne respirò l’aria e la disperazione venendone travolta.
Quella notte calde lacrime rigarono il suo volto e i suoi pensieri volavano al suo mondo che da tempo si stava sgretolando e stava marcendo: agli amici che sapeva stava perdendo, alla falsità ed ipocrisia celata nel cuore di molti, alla sua impotenza. Già sapeva, ma ora capiva.
“L’incubo è reale
La casa si è trasformata
L’America ha mostrato i suoi ghetti
Il mondo l’ha fatto
Ed io inerme ho assistito
Mentre lacrime invisibili rigavano il mio cuore”
Un pensiero scritto nel cuore della notte per dare voce a tutto quel dolore che stava provando e che sarebbe finita a far compagnia agli altri che da un paio di anni aveva preso a scrivere in un diario segreto dove il crescente disagio che in lei sembrava manifestarsi in modo così irrazionalmente devastante trovavano voce.
Lei non avrebbe dovuto avere quei pensieri, non avrebbe dovuto sentire tutta quell’avversione per il mondo che la circondava e in primis per se stessa che pur vedendo non sapeva quale fosse la cosa giusta da fare, pur sentendo non aveva una voce abbastanza forte per farsi ascoltare. Inutile, sola, incompresa. Avrebbe voluto essere sorda, ma non lo era ed il mondo continuava a ferirla facendola sentire una bambolina vuota, una marionetta dalla volontà fragile come vetro soffiato schiacciata dal suo stesso essere e dalla forza delle sue emozioni che sfogava in folli pensieri scritti su di un quaderno che erano le lacrime versate dal suo cuore mentre al mondo mostrava il suo sorriso.
La realtà che per nulla al mondo avrebbe voluto vivere era lì davanti ai suoi occhi e non poteva più essere negata: i suoi incubi erano reali, la sofferenza appena iniziata e la comprensione di tutto ciò sarebbe stata la sua salvezza o la sua condanna. Solo il tempo l’avrebbe stabilito mentre si aggrappava all’unica speranza di salvezza: un foglio ed una penna.
“Si voltò di scatto e capii ogni cosa. A volte, nella vita, niente è come sembra. E anna, da quel giorno, dovette fare i conti con una nuova e tutt’altro che semplice realtà.”
Così corsi da lei per esserne certa e la vidi, nostra nonna, sdraiata su quel prato in mezzo alle margherite.
Il viso pallido e le mani così fredde.”Vado a fare una passeggiata” ci disse al mattino presto. Ma dopo l’ora di pranzo ancora non rientrò e la andammo a cercare. Anna correva precedendo ogni mio passo. E si fermò li, davanti al corpo inerme.
Appariva cosi giovane, la nonna. Quella pelle liscia senza rughe e quei bellissimi capelli bianchi lunghi raccolti nello chignon ci tradirono nascondendo i suoi pesanti 92 anni.
E Anna rimase a fissarla, sedutale accanto sull’erba e tenendole la mano. Ogni tanto alzò la testa per donarmi uno sguardo di mille domande. Non seppi cosa dirle, le mie parole soffocarono in gola e sentii che se avessi provato ad esprimerle il mio dolore sarei scoppiata in un pianto. E non avrei potuto, non davanti a lei.
Così rimanemmo in silenzio.
Più tardi i nostri fratelli vennero a cercarci e ci aiutarono a portare a casa la sua piccola e leggera salma.
Anna non parlò per molto. Rimanemmo sole, insieme ai nostri tre fratelli.
Da quel giorno tutto cambiò e gli ostacoli della vita si fecero più duri senza la compagnia e i dolci consigli della nonna.
Buonasera a tutte! Sono contento che abbiate deciso di interagire e fare questo esercizio. Vi faccio i complimenti per averlo svolto e anche per come lo avete svolto. Ognuna di voi, con le sue specificità, ha dato vita ad un vero e proprio racconto stimolando la fantasia e non solo.
Vi aspetto giovedì 20 alle 21:00 in diretta, così ci facciamo anche gli auguri di Natale. Se non vi siete ancora iscritte all’evento, fatelo da qui in modo da essere avvisate da una notifica (sempre che facebook non faccia i capricci):
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Buona vita!
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